Alle 12 di oggi si è spenta all’età di 89 anni la poetessa messinese Maria Costa. Nata e vissuta nel rione della Case Basse di Paradiso, nelle sue poesie in dialetto messinese custodiva e cantava la memoria collettiva della città dello Stretto distrutta da un catastrofico terremoto nel 1908.
I suoi versi sono raccolti in diversi volumi tra i quali Farfalle serali (1978), Mosaico (1980), ‘A prova ‘ill’ovu (1989) e Cavaddu ‘i coppi (1993). A lei hanno dedicato servizi e interviste numerosi media e reti televisive straniere (Francia e Russia), e tesi di laurea eleborate nelle università di Palermo, Messina, Udine, Catania e Siena.
La sua figura è celebrata nel cortometraggio “Come le onde” del giovane regista messinese Fabio Schifilliti. Nel 2006 il suo nome è stato iscritto nel registro dei “Tesori Umani Viventi” dall’Unità Operativa XXVIII – Patrimonio Unesco, Registro Eredità Immateriali della Regione Siciliana.
Si è sempre espressa in dialetto messinese perchè era cosciente del fatto che questa lingua stava morendo nonostante fosse la ricchezza dei nostri antenati. A tal proposito scrisse un libro Ventu Cavaleri, nel quale affermava che la “parlata” che ci ha trasmesso un immenso tesoro di vita vissuta dai nostri padri, ricco di espressioni poetiche che hanno raccontato le generazioni, oggi si allontana tristemente dai giovani. Affermava sempre che dialetto resteranno solo “i pilastri di cemento armato”, i vate che ancora tengono, dalle ossa fatte e che alzano lo stendardo in segno di vittoria opponendosi al costante tramonto delle tradizioni culturali.
Nelle sue poesie le protagoniste erano spesso le donne siciliane, più importanti sono Agatuzza Messia (balia del Pitrè), Rosa Balistreri, Dina e Clarenza, Santa Eustochia, Maria Messina, Peppa a Cannunera e Maruzza Schininà, quest’ultima forse la sua preferita. Non potevano mancare anche le donne “marinare”, mogli, madri di uomini di mare, che tante volte sopra i promontori dei puntali marini si strappavano i capelli, sotto le schiaffate del mafioso libeccio. Donne che hanno visto asciugare amare lacrime, quando una barca scarrocciando si flagellava tra Scilla e Bagnara.