I canti erano originariamente scritti a matita e con quella presumibile rapidità che rende laboriosa la decifrazione della grafia
Nella sala Palumbo del Palacultura di Messina è stato presentato il volume “I Canti popolari del messinese” raccolti da Tommaso Cannizzaro e trascritti da Nino Falcone (ed. Pungitopo). Una raccolta preziosa in tre volumi che aggiunge un importante tassello alla storia delle tradizioni popolari e richiama l’attenzione sul valore della memoria e del dialetto in chiave identitaria.
I canti erano originariamente scritti a matita e con quella presumibile rapidità che rende laboriosa la decifrazione della grafia. Nino Falcone, ex direttore della biblioteca Cannizzaro cui è intitolata la sala del front office, con la sua Lettera 22 li trascrisse fedelmente: un lavoro immane, di cui serbano un vivo ricordo i figli; un regalo a una città che, nell’ambito del folclore, sembrava fino a questo momento non riuscire proprio a misurarsi con il recupero delle scritture popolari della Sicilia Occidentale.
Da una lettera a Giuseppe Pitrè di Tommaso Cannizzaro, del quale la casa editrice Pungitopo aveva già pubblicato la Divina Commedia tradotta in siciliano, si desume che il poeta messinese avesse solo raccolto il materiale per queste campagne, colla matita alla mano. Comprendeva di non poter pubblicare una tale mole di canti a sue spese e davvero questa parte essenziale del nostro passato, delle nostre comuni radici sarebbe rimasta nascosta se Nino Falcone non l’avesse custodita e naturalmente trascritta.
Dopo i saluti istituzionali dell’Assessore alla cultura Enzo Caruso che, nel riconoscere grande merito all’editore, ha ribadito la necessità di ritrovare il nostro dialetto, la dott.ssa Giovanna Quartarone ha letto un canto di Cannizzaro e rimarcato la frustrazione con la quale il poeta verosimilmente visse l’impossibilità di pubblicare i suoi quaderni.
Maria Pirrone, dottoranda del centro Studi Filologici Siciliani, ha altresì evidenziato il valore linguistico dei volumi che si prestano senz’altro a uno studio interdisciplinare, concentrandosi chiaramente sulle intuibili difficoltà affrontate da Nino Falcone durante la lunga fase di trascrizione.
L’antropologo Sergio Todesco ha descritto ai numerosi presenti la varietà dei canti raccolti da Cannizzaro: preghiere, leggende, canti d’amore, d’argomento religioso, di lontananza, canti erotici, etnostorici, politico-patriottici, magico-rituali a fine il più delle volte apotropaico, scioglilingua, proverbi, ninne nanne. E sembra che, a dispetto della varietà formale e tematica, tutti i canti dialoghino tra loro.
Sergio Todesco, nel richiamare alla memoria il contesto entro cui operò Cannizzaro, il medesimo del Pitrè e di Salomone Marino, quello romantico, lega intimamente la cultura popolare al Risorgimento, alla nascita delle nazioni, a tutto quell’interesse verso il patrimonio etnico che contribuiva alla formazione di una vera e propria memoria nazionale.
I canti raccolti da Cannizzaro fornivano inoltre aiuto per sopportare la precarietà, le fatiche della vita. “Nino Falcone – sostiene Todesco – ebbe un atteggiamento da studioso ottocentesco nel riscattare i canti e nel comprendere che il Novecento ne avrebbe consentito lo studio critico. Ed è su questi canti che si gioca la possibilità di declinare la nostra identità più genuina”.
L’editore Lucio Falcone ringrazia questa “Messina diversa” che ha finalmente deciso, sorprendendolo, di prestare la giusta attenzione ai quaderni di Cannizzaro. Non ebbe uguale fortuna il padre quando chiese aiuto ad Antonio Pasqualino affinché potessero essere pubblicati.
Della trascrizione de “I Canti popolari del messinese” Lucio Falcone ricorda il ticchettio della Lettera 22, nonché l’assoluta fedeltà al manoscritto che non era, allora, consuetudine diffusa. “Ho scelto la copia anastatica – afferma – perché si comprenda il lavoro di Nino Falcone e la sua convinzione che si trattasse di qualcosa di molto prezioso”.
A conclusione degli interventi, varie riflessioni dal pubblico sul tema particolarmente attuale della valorizzazione della “lingua siciliana” e altrettante interessantissime incursioni nell’universo straordinario e unico di Laura Gonzenbach o in quello della musica popolare, fino alle considerazioni, a chiusura, sullo sforzo, così limpido e così necessario, di Cannizzaro nel dare voce al popolo e sulla grande umiltà di Nino Falcone nel comprenderlo, tanto da dedicarvisi strenuamente affinché non risultasse vano.