Al medico “va fatta una doccia”, l’ordine di Provenzano per eliminare Attilio Manca

Al medico “andava fatta una doccia”, ovvero doveva essere eliminato: è l’intercettazione ambientale risalente al 2003 nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Roma sulla (all’epoca) latitanza di Bernardo Provenzano e dei suoi fedelissimi. Il boss mafioso più ricercato d’Italia fu poi catturato l’11 aprile del 2006 in una masseria di Montagna dei Cavalli, frazione Ficuzza, nelle campagne di Corleone.

L’intercettazione, inedita, è stata pubblicata da AntimafiaDuemila in un articolo firmato da Tobias Follett e Antonella Beccaria. Secondo la ricostruzione dei due giornalisti, i pm romani – negli ultimi mesi del 2003 – avevano piazzato microspie in una masseria dove, insieme a Provenzano, c’erano sei o sette uomini che per varie volte nel corso della giornata, avrebbero ripetuto la loro condanna a morte verso il medico senza tuttavia pronunciarne mai il nome.

Il no del medico all’intervento di Provenzano

Provenzano, si spiega nell’articolo, aveva un tumore alla prostata per il quale attendeva un intervento chirurgico in Costa Azzurra. Pochi giorni prima del viaggio in Francia, tuttavia, avrebbe ricevuto un secco no da un medico a cui i suoi uomini si erano rivolti. Per questo, i gregari del boss decisero che a quel dottore “andava fatta una doccia”.

Il caso Attilio Manca

Questa intercettazione – scrivono Tobias Follett e Antonella Beccaria – potrebbe ora contribuire alla riapertura delle indagini sulla morte di Attilio Manca, urologo siciliano, morto nella notte tra l’11 e il 12 febbraio 2004 a Viterbo, la città in cui lavorava da meno di due anni all’ospedale Belcolle. I suoi genitori, assistiti dall’avvocato, Fabio Repici, si battono da oltre 18 anni per dimostrare che il figlio non si è suicidato con una overdose di eroina aggravata dall’assunzione di uno psicofarmaco.

Per la madre ed il padre il figlio sarebbe stato ucciso da un’iniezione di sostanza stupefacente perchè coinvolto a sua insaputa nelle cure a Bernardo Provenzano. La riemersione dell’intercettazione del 2003 potrebbe fornire un ulteriore elemento per la richiesta di riapertura delle indagini. Richiesta che, come ha annunciato nei giorni scorsi l’avvocato Repici, verrà depositata a Roma entro un mese.

La madre della vittima: “Ho i brividi”

“Questa notizia mi ha fatto venire i brividi, come quando vidi le foto del cadavere di Attilio. Non ho potuto fare a meno di pensare all’Olocausto, quando gli ebrei internati, con la scusa di “fare la doccia”, venivano indirizzati alle camere a gas. Attilio fu vittima della stessa crudeltà. Il pensiero che questa intercettazione risalga al 2003 e che la Procura di Roma non ne abbia mai fatto uso mi toglie il sonno”, afferma all’AGI Angela Gentile Manca, madre di Attilio.

“Penso ad Attilio – dice la madre – che in quei giorni programmava il suo futuro, progettava anche per il tumore alla vescica la laparoscopia, che allora non veniva eseguita in tutta Europa, pensava a ottenere un mutuo per acquistare una casa. Era una persona felice, realizzata e aveva davanti a sè una carriera brillante. Non sapeva di essere già un morto che camminava. Come rivelato da un pentito, lo volevano uccidere per Natale di quell’anno, con una pistola. Poi optarono per un’altra soluzione, senza fare rumore. Qualcuno si recò a Viterbo per organizzare l’omicidio, studiare la casa di Attilio, le sue abitudini. E poi Attilio fu ucciso in quel modo macabro. Ora è arrivato il momento di riaprire le indagini e istruire un processo. Ed è arrivato anche il momento di liberare la memoria di Attilio da tutto il fango che persone indegne, anche in sedi istituzionali, hanno riversato su di lui in questi anni. Io e la mia famiglia abbiamo sempre creduto nella giustizia e abbiamo fiducia nella parte sana della magistratura. E non molleremo – conclude – finchè non otterremo verità e giustizia complete per Attilio”.

Il legale dei Manca: “Si riaprano le indagini”

“Per l’ennesima volta sono dei giornalisti, Tobias Follet e Antonella Beccaria, a supplire alle inerzie di organi istituzionali. Così adesso arriva la notizia che nel cerchio ristretto che accudiva il boss Provenzano si discuteva della necessità di uccidere un medico. E’ la conferma alle rivelazioni già fatte da numerosi collaboratori di giustizia. Ed è la conferma delle inspiegabili falle istituzionali che si sono verificate a protezione della latitanza di Provenzano”, dichiara all’AGI Fabio Repici, legale della famiglia Manca.

“E’ esattamente quanto ha spiegato il collaboratore di giustizia Carmelo D’Amico. Nelle sue dichiarazioni sull’omicidio di Attilio Manca, recentemente dichiarate attendibili anche dalla Corte di appello di Reggio Calabria che ha condannato per associazione mafiosa Rosario Cattafi – commenta Repici – , ha spiegato che l’assassinio dell’urologo barcellonese è un delitto compiuto in sinergia da Cosa nostra e da apparati deviati dello Stato, in uno scenario tipicamente piduista. Lo stesso generale dei carabinieri tirato in ballo dal pentito D’Amico, se si guarda l’elenco dei soci onorari del circolo Corda Fratres, era uno dei più celebri affiliati alla loggia P2.

Ora non ci sono più alibi per la Procura di Roma. Nelle prossime settimane chiederemo un appuntamento al Procuratore Lo Voi e consegneremo nelle sue mani una denuncia nella quale compariranno tutti gli elementi raccolti in questi ultimi tempi. La verità sul caso Manca– conclude il legale della famiglia – è nascosta anche fra le pieghe degli archivi giudiziari nei quali riposano sotto tonnellate di polvere i misteri sulla latitanza di Bernardo Provenzano, protetta da settori istituzionali. Bisogna solo dissotterrare le informazioni insabbiate per decenni. A partire da quelle riguardanti la presenza di Bernardo Provenzano in provincia di Messina”. 

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