Sono ritenuti responsabili in concorso tra loro dei reati di falso materiale e falso ideologico commesso dal P.U., peculato e truffa aggravata, consumati nell’esercizio delle loro funzioni di dirigenti medici dell’A.O.U. di Messina, tra il 2011 e il 2013. Si tratta di Letterio Calbo di 68 anni, all’epoca Direttore del Reparto di Endocrinochirurgia dell’A.O.U.; Massimo Marullo di 59 anni, all’epoca vicedirettore dello stesso reparto; ed Enrico Calbo (figlio di Letterio), di 40 anni, in qualità di specializzando presso il reparto.
La complessa attività d’indagini dei poliziotti della Sezione di Polizia Giudiziaria, avviata a partire dal giugno 2013, a seguito di una segnalazione pervenuta dalla Direzione Generale dell’A.O.U. (parallela ad attività ispettiva interna che aveva dato luogo a delle sanzioni disciplinari) in ordine ad anomalie riscontrate in alcuni interventi eseguiti nel periodo 2012-13, avrebbe consentito di appurare la natura fraudolenta delle condotte poste in essere dai medici, per tutta una serie di interventi chirurgici praticati presso il reparto di Endocrinochirurgia del locale Policlinico, addirittura a partire dal 2011.
I medici avrebbero dissimulato degli interventi di chirurgia estetica additiva (mastoplastica), certificando l’esistenza di patologie oncologiche, di origine traumatica e/o malformativa. In alcuni casi si era poi reso necessario un secondo intervento per la sostituzione delle protesi difettose, in precedenza impiantate da Marullo e dal Enrico Calbo, il quale, pur essendo ancora uno specializzando, operava o insieme a Marullo o in via esclusiva.
La piena riuscita del programma criminoso, tradottosi poi, come è stato accertato, in un consolidato modus operandi, implicava la sistematica alterazione della documentazione clinica, cui avrebbe concorso a pieno titolo il dott. Letterio Calbo (padre di Enrico), nella qualità di direttore del reparto di Endocrinochirurgia, con l’effetto di trarre in inganno sia le pazienti, sia l’Azienda Policlinico, sia il S.S.R..
Alle pazienti veniva richiesto il pagamento delle protesi impiantate, per importi di qualche migliaio di euro, di cui i medici si sarebbero appropriati, omettendo di dichiarare all’azienda sanitaria sia l’indebito compenso ricevuto, sia l’impiego di una diversa tipologia di protesi, rispetto a quelle in uso alla farmacia del Policlinico, in palese violazione del protocollo sanitario: ciò sarebbe stato possibile grazie all’apposizione sulle cartelle cliniche di etichette non corrispondenti a quelle delle protesi impiantate. Ma, ovviamente, il danno economico arrecato all’azienda, non si limitava al mancato versamento delle somme corrisposte dalle pazienti, essendo aggravato dalla regolare utilizzazione di sale operatorie e apparati della struttura pubblica.
Ad un secondo livello si è verificata la truffa in danno del SSR, cui sarebbero stati segnalati falsamente come rientranti nella casistica dei LEA (livelli essenziali di assistenza) interventi non coperti in tutto o in parte dal Servizio sanitario Regionale, per i quali non era quindi dovuto il rimborso.