È Leo Gullotta a inaugurare la stagione di prosa del teatro Vittorio Emanuele con la commedia di Luigi Pirandello “Pensaci Giacomino”.
L’imponente scenografia di Angela Gallaro Goracci, coi colori sgargianti delle sagome giganti di quegli individui “perbene” che affollano l’assurda società, accoglieva la storia del vecchio professor Toti, di cui Gullotta ha egregiamente reso lucidità, arguzia e refrattarietà al potere costituito.
Insaccato nel suo vestito marrone e con le scarpe di panno ai piedi, Toti continuava a servire lo Stato provando ad ammansire, senza grossi risultati, le generazioni che gli si erano susseguite nei lunghi anni di insegnamento. Un lavoro che gli fruttava un misero stipendio e frequenti ramanzine del preside. Un lavoro che lo aveva relegato in quella perfetta solitudine dalla quale occorreva venir fuori al fine di tramandare la pensione, per non sollevare lo Stato dall’obbligo della reversibilità. E perché “una cosa è la professione, una cosa è l’uomo”.
Da qui le rocambolesche vicende che lo conducono al matrimonio con la giovanissima Lillina, sentimentalmente legata a Giacomino. E neppure il figlio che la ragazza tiene in grembo può scompigliare i progetti di Toti.
Ma sovvertire le regole sociali, gestire una faccenda che non è “liscia” e soprattutto renderla gradita alla gente non è impresa facile. Per le stradacce del paese circolano dicerie, pregiudizi che si insinuano tra le mura domestiche. Fuori si avverte il contrario che per il povero Toti è il plausibile espediente per vivere. Occorre semmai indicare la strada anche a Giacomino, vittima della società ipocrita e perbenista che lo vorrebbe sottrarre alle macchinazioni del professore e, quel che è peggio, alle responsabilità genitoriali.
C’è un’ironia amara di fondo che dalle pagine del drammaturgo di Girgenti si sparge sulla scena, grazie alla riguardosa regia di Fabio Grossi. Il cast tiene lodevolmente testa a un Leo Gullotta in forma smagliante. Mentre i Giganti restano a guardare, giudicando e calunniando, scorrendo di tanto in tanto sui binari della scenografia, senza mai battere in ritirata.
I temi sono attualissimi. Ché oggi, come allora, le convenzioni sociali predispongono ruoli. Ché i ruoli restano sempre trappole. E sono il frutto di quella rigida consequenzialità di causa-effetto propria del determinismo naturalistico che tanta parte ha avuto nel dramma borghese di Pirandello.
I lunghi applausi sul finale decretano il successo della pièce e sono un riconoscimento al talento di Leo Gullotta, all’intramontabilità dei temi pirandelliani e verosimilmente al lavoro svolto per garantire la stagione 2018/2019 agli affezionati dello stabile cittadino.