“Eufemia”, dal greco colei che parla o di cui si parla, ha infatti definito gli spazi entro i quali costruire liberamente il pensiero
Secondo appuntamento della XI edizione del Cortile Teatro Festival lo spettacolo finalista Direction Under30 2021 “Eufemia” di Giorgia Lolli. La danza contemporanea all’Area Iris, dopo il teatro a palazzo Calapaj – D’Alcontres della sera precedente, rende noto sin dalle prime battute lo spirito della rassegna organizzata a Messina dal direttore artistico Roberto Zorn Bonaventura. “Forma e sostanza” traduce del resto il proposito di mettere in contatto, mediante il filo conduttore dell’arte, svariati linguaggi, tutti comunque utili a districarsi tra la complessità delle cose, a rinvenire il bandolo della matassa, a lasciarsi scompigliare i capelli da quel vento di libertà che spira proprio dall’arte.
“Eufemia”, dal greco colei che parla o di cui si parla, ha infatti definito gli spazi entro i quali costruire liberamente il pensiero, passando dallo stimolo che attiva meccanicamente il processo all’universo, reale e immaginario, che ne plasma la componente emotiva.
Giorgia Lolli, Sophie Claire Annen e Vittoria Caneva, in tenuta sportiva (pantaloncini e calzettoni di spugna) e col tocco glamour d’una camicetta a maniche corte, creano un’atmosfera che sfugge alle connotazioni temporali e piuttosto gioca a rimpiattino col passato, si lascia fiaccare dal presente e un istante dopo, magicamente, guarda al futuro, lontanissimo.
C’è commistione di codici comunicativi, inoltre. E ciò infirma una volta di più la linearità dell’apparenza, rimandando piuttosto a un vortice dentro al quale tutto risulta possibile o, meglio, malleabile. Come malleabili sono i corpi delle performer, dapprima vittime della gravità poi via via sempre più sovrane dello spazio che riempiono non d’una ma di tre esistenze al contempo slegate e annodate.
Entra dalla porta principale una femminilità tutta da scoprire ed eventualmente da perfezionare al cospetto delle cose e degli occhi, della mente che intendono connotarle. Una macchina da scrivere, per sua natura genitrice di parole, diventa allora tappeto musicale d’una danza che ricalca la battitura. La situazione è davvero ai limiti della consuetudine linguistica: d’una parola qualunque, venuta fuori per associazioni di idee, se ne può disquisire a voce, attraverso la scrittura, col corpo.
La realtà è tridimensionale, è in una parola ineffabile. Eufemia dice, Eufemia subisce le parole, Eufemia è. Tutt’al più lucida quella macchina da scrivere che materializza le idee, prima che la danza presti loro un paio d’ali per volare.
Le tre interpreti guadagnano lo sguardo disteso e si scambiano sorrisi con gradualità, come avessero bisogno di sondare il terreno prima dell’abbandono, sicuro e coraggioso, alla realtà. La musica stessa conquista un orizzonte surreale. E sulle note di “Love me tender” la separazione dalla concretezza, dalla ponderosità del reale appare finalmente totale.
Allora si va tra i sentieri di un mondo senza tempo, ove ogni cosa occupa e non occupa uno spazio, ove le competenze si confondono, le incombenze gravano meno, la materia si disperde, ove ci si può insomma permettere di ridere in faccia alla perfezione e rincorrere quella vaporosità così seducente, così schiettamente e acrobaticamente creativa.
Tutto ridiventa leggero. Tutto poco più tollerabile. E, col suo carico di fragilità, coi suoi nei, tutto ridisegnabile all’infinito.