La drammaturgia di Domenico Loddo a traboccare di parole, la regia di Roberto Zorn Bonaventura che non solo si è assunta il carico di regolamentarne il caos, ma ne ha pure determinato la cifra stilistica entro cui accoglierlo e Stefano Cutrupi a liquefarsi letteralmente in quell’assurdo personaggio sgorgato dalla penna di Loddo, mai risparmiandosi, anzi gravandosi dei suoi fardelli, scagliandoli oltre la quarta parete durante il suo scombussolato delirio.
Anni e anni a inventarsi dimore prive di memoria e arriva un uomo qualunque, in frac, a travolgerle. Un quotidiano lavoro di sottrazione del dolore e lui, vomitandosi e vomitandoti addosso il veleno d’una vita, in un istante te lo annulla. Come a ricordarti che quello, il dolore, sta lì. E prima o poi esige il suo ruolo sulla scena.
La sintesi del male è un minuscolo palindromo, Ada. La rabbia dell’uomo il più scortese addio. Cosa gli è rimasto di lei? Parole false e un’audiocassetta. Reliquie, entrambi, di un amore finito troppo in fretta.
Il Signor Dopodomani è reduce di ieri. E ieri è tutta la sua vita. Per anni si è limitato a scrutare l’universo, serbandone nel cuore il rancore. Ora esige vendetta.
Predispone con cura sulla scena quei pochi oggetti che gli servono per rinnovare il dolore. La quiete attorno. La teatralità in ogni movimento che prelude al “play” con cui s’apre il sipario sul suo triste, disperato, furioso show.
Una messinscena che risponde di fatto alla personale lettura del testo da parte di Bonaventura, il quale esige la trasformazione della tecnica di Cutrupi in un’arma invisibile da adoperare sul terreno scosceso della riflessione esistenziale. Con dignità e follia, col suo frac rammendato e il suo piccolo spazio stretto che lo sottrae a tanti altri infiniti altrove. Il suo è “l’indicibile sproloquio di un condannato a vivere”, senza un domani, senza una ragione. E con una epigrafe ancora tutta da scrivere. Un “adieu” al mondo come quello del vecchio di Modugno, sulle cui note questo Signore costruisce le saga senza eroi del suo tempo. Ché “bisogna ricomporre sul palcoscenico tutto ciò che la vita sistematicamente frantuma”.
Una alchimia portentosa di molti ingredienti fa del Signor Dopodomani quella nobile opportunità comunicativa che crea un ponte fra la vita e il bisogno umano di esprimerla. La vendetta a margine. O una fantasia tra le tante indecenti fantasie di quest’uomo che ama, odia, consola, maltratta, penetra, decapita, accoltella nella sua mente.
Le valigie già pronte per Roma, dove lo attendono tre repliche dal 9 al 12 gennaio, Stefano Cutrupi porta negli occhi la gioia di un piccolo grande traguardo. E ci racconta come si arriva al Roma Fringe Festival.
Un bando, quindi la selezione e trentasei compagnie di teatro indipendente, italiane e straniere, tra quelle che vi hanno partecipato approderanno al Festival, al La Pelanda, l’ex mattatoio.
È un traguardo inatteso o tutto sommato te lo aspettavi?
Sinceramente non me l’aspettavo, ma ci speravo. Non avevo dubbi sulla forza dello spettacolo. Guardavo semmai al Fringe come si guarda a quei sogni che ti sembrano distanti, buoni solo per essere sognati. La soddisfazione è pertanto enorme. Il Signor Dopodomani è un lavoro di squadra nato e cresciuto al teatro Dei 3 Mestieri, uno spazio cui io e Angelo Di Mattia ci dedichiamo con grossi sacrifici. A ciò si aggiunga il lavoro di tutti quelli che a questo spettacolo hanno lavorato, da Domenico Loddo che ne ha scritto il testo a Roberto Bonaventura che ne ha curato la regia, da Marcantonio Pinizzotto che l’ha coadiuvato a chi ha fornito il proprio apporto, contribuendo alla riuscita.
Cosa ti aspetti dal Fringe?
A Roma ci saranno molti addetti ai lavori. Sarà una bella prova, a livello attoriale; un’occasione di confronto, di crescita. Conosceremo inoltre altre compagnie. Il teatro indipendente è in Italia una realtà ormai consolidata. Occorrerebbe addirittura far rete. Avere modo di conoscerne una fetta potrebbe significare collaborazioni, scambi futuri.
Se poi arrivasse anche un premio sarebbe la conferma ulteriore della bontà del nostro lavoro e chiaramente ci renderebbe felici.
Qual è stato il primo approccio a un testo così complesso come Il Signor Dopodomani?
Quando ho letto per la prima volta la drammaturgia di Domenico Loddo ho pensato a tutte le difficoltà delle messa in scena. Si sarebbe trattato del mio primo monologo e, vista inoltre la complessità del testo, ammetto di aver avuto paura. Le prime letture, in perfetta solitudine, mi scoraggiavano.
Quanto la regia di Roberto Bonaventura è intervenuta sul testo?
Ecco, l’incontro con Roberto è stato determinante. Non ci conoscevamo prima e la messa in scena è stata preceduta da un confronto. Roberto mi ha letteralmente cucito addosso il personaggio, partendo da quello che sono nella vita reale. C’è un brano di Ivano Fossati, per esempio, che non era previsto dal testo di Domenico e che lui invece ha inserito, partendo dalla considerazione che fosse più di altri nelle mie corde. La drammaturgia ha subito pochissimi interventi. Roberto ha trovato le soluzioni giuste a livello registico, quelle che poi hanno determinato la riuscita dello spettacolo.