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“La Scellerata Setta”, il primo Romanzo del messinese Gerardo Rizzo

Immerso in quel disordine solo suo di documenti e libri, la “curiositas” che da sempre ne anima la ricerca, la più sagace ironia a stemperare l’esistenza, Gerardo Rizzo tutte le volte dissotterra piccoli frammenti di questa Messina dalle mille contraddizioni e, senza troppo rumore, li restituisce alla luce. Lo fa sempre alla sua maniera e servendosi dei mezzi più disparati: la ricerca storica negli “Annali della Città di Messina 1862-1885” e nel prezioso saggio scritto con Giuseppe Leonardi “Da Didyme a Salina. Storia dell’isola di Salina dalla preistoria alla metà del Novecento”, editi entrambi da Intilla; la fotografia nel volume “Salina. Vedute di terra e di mare” (ed. Edas); la levità della scrittura giornalistica in varie testate regionali; l’attenzione all’arte nostrana quando riflette l’anima che pulsa in questa terra e, in generale, la vita.
Sbirci Gerardo Rizzo in quel faticoso ruolo dell’insegnante di Lettere nelle scuole medie e lo scopri squisitamente affabile, come quando guarda le partite della sua Inter, se ne dispera e nonostante tutto continua ad amarla.
In occasione della presentazione del suo primo romanzo “La scellerata setta” (Nicolò Edizioni), numerosi sono accorsi al Salone degli specchi. A gratificare fatiche e passioni di chi da sempre riconosce alla storia il fine d’una lettura più lucida e consapevole del presente.
Relatori il giornalista Marcello Mento e il docente di Storia Moderna Giovanni Raffaele, cui si sono aggiunti autorevoli interventi volti a scandagliare la gestazione di un’opera che si muove sul terreno scientifico della ricostruzione storica e che su di esso, poi, costruisce l’intreccio romanzato.
Pare, in virtù d’una serie di delitti, la Messina postunitaria sia caduta nelle mani della mafia. Pronta, la Questura teorizza l’oscura regia di una società segreta cui viene dato il nome di Liberi Purgatori, riconducibile al partito repubblicano locale e al loro capo assoluto, Giuseppe Mazzini. Ché sempre l’uomo ha bisogno di capri espiatori, di colpevoli da additare, di una spiegazione a portata di mano. L’opinione pubblica però si divide e la stampa non sfugge alla tentazione di schierarsi. Questa è la storia, col suo finale sussurrato e con i documenti alla mano per provarla. Poi c’è l’invenzione, calata nel più reale e interessante spaccato di vita sociale in cui prendono vita i personaggi. Non si sa, insomma, dove finisca la storia e dove cominci la fantasia. La prima è espediente per mettere in scena la seconda e viceversa. Una società di accoltellatori nella Sicilia disillusa d’allora risulta del resto lo scenario perfetto su cui dipingere, con inusitata e calviniana leggerezza, tinte spiccatamente noir.
Scopo precipuo dell’autore è tuttavia la ricostruzione di un tempo e di un mondo che si celano dietro i quartieri, dietro le storie, dietro la vita. Con le inevitabili zone d’ombra e con la gattopardiana certezza che poco cambi nei secoli, che i rapporti tra potere costituito e criminalità abbiano radici così profonde da renderle un tutt’uno con la terra che calpestiamo, ma che capiti talora di prendere qualche abbaglio e di impalcare strutture senza solide fondamenta. All’autore il merito di averle, tra le righe del più genuino divertissement che compete alla letteratura, storicamente smascherate.

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