La più bella Napoli è approdata sulle rive dello Stretto in occasione del concerto “Cammina, cammina…” di Peppe Barra. L’Accademia Filarmonica, in partnership da quest’anno con l’Associazione Bellini, ha ospitato al Palacultura uno dei più attenti conoscitori e ricercatori della tradizione popolare. Così che da Paisiello a Pino Daniele, attraverso suggestioni storiche e musicali, Barra ha catapultato i numerosi spettatori in quella tradizione violenta e sanguigna che racconta del popolo più infimo, dei pescatori, delle osterie, dei reietti. Un universo che urla dal basso e una Napoli che scrive, canta, recita, con la pancia e col sangue.
Sulla scena un artista, Peppe Barra, romano di nascita e partenopeo d’adozione, che traduce in esperienza teatrale quell’itinerario di vita e note trasmessogli dalla madre Concetta, cantante e attrice anch’ella, e contaminato a tal punto dalla più originale mistione di generi da costituire una cifra stilistica a sé stante.
L’ouverture è l’invocazione al sole come astro e buon governo, come auspicio del benessere e d’una esistenza men greve. Da “Jesce sole” è tutto un crescendo emozionale cui dà adito Barra con la sua voce imponente e una presenza scenica da attore consumato. Ad accompagnarlo la preziosissima voce di Angela Luglio, la chitarra e il mandolino di Paolo Del Vecchio, il pianoforte e la fisarmonica di Luca Urciuolo, il violoncello di Giorgio Mellone, il basso di Sasà Pelosi, le percussioni di Ivan Lacagnina e i flauti di Alessandro De Carolis. È insomma tutto un fermento di suoni e voce e gesti su quel palcoscenico che Barra riverisce tanto con la mise eccentrica che si avvicendava durante lo spettacolo quanto con l’enfatica e tipicamente meridionale mimica dei sentimenti.
Tra le altre tappe di questo excursus tutto napoletano, “L’ammore” di Antonio Petito, ultima grande maschera di Pulcinella, commediografo analfabeta. E Pulcinella, dalla voce di Barra, si domanda cosa sia l’amore, passando in rassegna una serie di insetti per poi fermarsi a quel brutto e peloso verme che mangia il cuore.
E c’è “Vurriaaddeventaresuricillo”, dall’opera di Vinci, ad attestare il sempiterno bisogno del partenopeo di diventare qualcos’altro. C’è il “Duetto buffo di due Gatti” di Rossini, a miagolare struggente amore. C’è “Cammina cammina”, a rendere omaggio a Pino Daniele. C’è, infine, “Tammuriata nera”, durante l’interpretazione della quale Barra letteralmente fa vibrare il teatro.
Tutto ciò a riprova dell’esistenza di quel filo rosso di tradizioni, di energia e di magia che parte da Napoli e arriva in Sicilia, proteggendo l’Italia intera.