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Martita nel periodo del fascismo sogna momenti di libertà e trasgressione

Un sobborgo di Buenos Aires, una famiglia di immigrati che non c’è più, tutti noi vicini ficcanaso di gente e vite sconosciute, un mondo piccolo da ricostruire a voce, nostalgie e rimpianti, ideologie canticchiate e confessioni da raccogliere. Mentre Norberto Presta letteralmente straripa nei panni lugubri di Martita, testimone non più muta di un’emarginazione subita e d’un tempo in cui la triade valoriale costituita da “Dio, Patria e Famiglia” decapitava i sogni e ammantava di superfluo l’essenziale. Così a Martita non è servito più studiare, non è stato neppure permesso di amare. Un’esistenza, la sua, strozzata dalla perentorietà paterna e dalla materna acquiescenza, contraccolpi entrambi di vetusti e frustranti modelli educativi, che pur sempre sapevano di Italia, e di casa. Martita è sola, chiusa, seduta e senza voglia. Lei che al mondo si sarebbe voluta aprire, lei che voleva sempre stare in piedi, lei che aveva ereditato l’intelligenza dalla madre, lei che avrebbe voluto diventare “avvocata” per difendere i poveri, lei che un tempo leggeva, e sognava. E lei che finalmente si confessa, riconoscendo alle parole il pregio di attestare un’esistenza, di liberare un tumulto sussurrato nella rassegnazione, di assecondare quella lacrima trattenuta per una vita intera.
A Martita era stata trasmessa l’inutilità di tutto un genere, quello femminile, cui al massimo competeva preparare biscotti e coltivare piantine dalle proprietà benefiche. Un universo stretto, ma confortevole per quell’assurdo sostegno emotivo ed esistenziale che si trae dal ricevere gli ordini. “Guide” – dice lei. Mussolini e il padre. Venuti a mancare i quali chi da sempre obbedisce si perde. Sulla bocca dell’ingabbiata Martita il cugino comunista, allegoria di libertà, trasgressione, obiezione. In una parola, il “diverso” che attrae e fa paura. Etiam periere ruinae però. E la donna può solo indossare un allegro cappello, degli occhiali da sole e passare sulle labbra il rossetto, per un istante. Per quel magnifico istante di cui celebrare il vero funerale. Poi è tutto nuovamente buio, come buia è la vita di cui si è sprecata una giovinezza soltanto da canticchiare.
In replica stasera, ai Magazzini del Sale, “Famiglia. Fascismo e altre calamità” a chiusura della tre giorni dell’artista italo-argentino Norberto Presta, cui va il merito di aver trascinato per mano lo spettatore in un mondo e in un tempo capricciosamente attuali e di averlo fatto col garbo, l’eleganza, l’immediatezza e l’abilità che solo i grandi attori possiedono.

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