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Alla Sala Laudamo in scena “Now”dal Riccardo III di William Shakespeare

Una ricostruzione particolarissima ed estremamente attuale di una delle più celebri opere del “Bardo dell’Avon”, di cui si celebrano quest’anno i 400 anni dalla morte. Giovedì 19 maggio alle 21, con repliche venerdì 20 maggio alle 21 e sabato 21 maggio alle 17,30, alla Sala Laudamo andrà in scena “Now”, dal “Riccardo III” di William Shakespeare, di e con Michele Sinisi, che il pubblico messinese ha già avuto l’opportunità di applaudire lo scorso anno al Teatro Vittorio Emanuele in occasione dello spettacolo “Il Guaritore”. Scritto con Francesco M. Asselta, lo spettacolo è la rivisitazione del celebre monologo di apertura, durante il quale il duca di Gloucester si presenta e anticipa il piano che metterà in atto per sfogare il proprio odio.

«Il testo di Shakespeare – scrive l’attore e regista nelle note allo spettacolo – si apre con un monologo di Riccardo che vale la bellezza dell’intera opera e che condensa tutta la vicenda. La narrazione che ne segue apre all’aspetto più profondo, all’animo del personaggio e di chi gli sta intorno, degli altri personaggi e ahimè di noi. Riccardo annuncia cosa farà, il perché, e con la sua “teatrale” deformità, alimenta in segreto il desiderio di conoscerlo. Il posticcio e la finzione, l’artificio che induce a credere, in questo personaggio sembrano trovare una delle occasioni più emblematiche e la magia del teatro diventa una grande bugia.

Il lavoro è costruito sul monologo iniziale di Riccardo in inglese e su cosa serve per realizzare i personaggi, per farli vivere agli occhi dello spettatore.

Lui diventa cattivo perché la vita gli ha tolto tanto. La cattiveria con cui invade la storia non è comodamente assoluta ma è generata dalla vita vissuta sotto il cielo, con le aspettative che questa tradisce, i sogni che non ci permette di realizzare. Le sottrazioni dell’animo di Riccardo si somatizzano e le ferite mostrano una diversa evoluzione della bellezza.

C’è una forte nostalgia in quell’inizio perché niente è più doloroso della coscienza di ciò che non sarà più. Lo spettacolo non racconta una storia, la fa vedere e il testo ha un ruolo musicale, da sentire più volte fino a comprenderlo sulla scena più di quanto il foglio non possa fare».

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