La scrittura di Daniel Pennac incontra i fumetti di Florence Cestac e, piuttosto di dar vita a una graphic novel, elegge il palcoscenico dimora di quella carezzevole storia d’amore che, ciascuno alla propria maniera, racconta. Una strabiliante commistione di stili narrativi orchestrati sulla scena dalla regia di Clara Bauer, grazie alla quale prende vita uno spettacolo di appena un’ora che assume ora la tenerezza dei cuori disegnati, ora la forza dei tratti decisi d’una scena, ora la levità delle cose che passano e che solo sulla carta indelebilmente restano.
“Un amore esemplare”, ancora stasera e domani al Vittorio Emanuele, non ha deluso le attese. Lo scrittore che ha creato lo splendido personaggio di Malaussène, capro espiatorio di professione, e che si è peraltro già confrontato con il mondo del teatro e con il fumetto, era una premessa non da poco anche per chi non ne avesse letto il romanzo grafico da cui è tratta l’elegante pièce.
Da bambino, Daniel Pennac trascorreva le vacanze in Costa Azzurra. Gli uomini, a quel tempo, giocavano a bocce e a bridge. Le donne apparecchiavano sedute spiritiche, rivolgendo al mistero le domande più sciocche. Ed è durante una di quelle vacanze che Daniel Pennac incontra Jean e Germaine. Bastano i nomi, le pronunce corrette e la Francia a richiamare gli amori di tutta la Nouvelle Vague, che pure con la visionarietà e il surrealismo di Pennac ha poco a che fare. I due non erano certo belli. Insieme, però, davano vita a quell’amore così meravigliosamente inusuale da sembrare immaginario, quell’amore cui non servono figli, lavoro e distrattivi d’altra natura per essere esemplare ma che, come tale, non può ovviamente essere compreso dai borghesi del circondario. Chi vuoi che capisca un matrimonio riuscito tra persone di classi sociali differenti? Chi un amore “improduttivo” che si fonda sull’arte di arrangiarsi? Chi m, ancora, la purezza dei sentimenti che dall’inquinamento sociale si tiene a debita distanza? Jean e Germaine, il giovane marchese de Bozignac e la sua sartina, non avevano niente. Però l’uno aveva l’altra. E il piccolo Daniel, a dispetto di quei tanti che li escludevano, decise di amarli assolutamente.
Non erano stati i lavoretti di Jean (ventriloquo alle feste per bambini, addetto al rodaggio delle pipe, giocatore di carte) a dar loro una minuscola casa, piuttosto la vendita a un industriale della prima edizione di “Tristano e Isotta”. Ché i libri sono preziosi e non procurano all’amore la separazione che invece procura il lavoro. Leopardi, Manzoni e Baudelaire avevamo permesso loro di arredare quale casa. Va così la vita. Devi pur sempre disfarti del più prezioso superfluo se necessiti l’essenziale. Per molti almeno è così. E in quella che era stata la casa del guardiano, Jean e Germaine si erano amati come pochi hanno la fortuna di fare. Un modello per Pennac da rincorrere tutta la vita, senza mai poterlo raggiungere.
E tutto converge nelle date incise sulla tomba della coppia: 3 aprile 1927 – 25 aprile 1971. Nacquero e morirono lo stesso giorno? No. Vissero solo quarantaquattro anni? Nemmeno. Jean e Germaine semplicemente cominciarono a vivere quando si conobbero.
A raccontare l’amore sulla scena Massimiliano Barbini, Daniel Pennac, Ludovica Tinghi e Florence Cestac, che intanto disegna scene di vita, paesaggi, dettagli e personaggi. Se ne approprieranno anche gli attori, ma chi più se ne serve per lasciarsi trasportare nello spazio e nel tempo entro cui vissero Jean e Germaine è lo spettatore. Una ballata d’amore nella Francia tra gli anni Trenta e Settanta, sulle note di Alice Pennacchioni. Un viaggio nella memoria di Daniel Pennac, che di quell’amore ne ricorda le infinite sfumature. Una maniera geniale, soprattutto, di raccontare un sentimento al quale solo la letteratura può ancora credere.