Marcello Mento sul passaggio di Nietzsche a Messina nel 1882

Il soggiorno del filosofo trasformato in un ingegnoso pretesto per raccontare Messina

Una lunga e complessa gestazione, anni di ricerche tra archivi e biblioteche. Un’indagine, quella condotta dal giornalista Marcello Mento, scaturita dalla necessità di accendere le luci sul soggiorno a Messina di Friedrich Nietzsche: tre settimane, nell’aprile del 1998, trascurate dalla storia ufficiale e sulle quali, sull’esatta ricostruzione, decisamente grava il proposito del filosofo tedesco di passare inosservato.

Ardua impresa, pertanto, quella di ricomporre il puzzle d’un tempo trascorso sottotraccia e di cui si ha cognizione soltanto indirettamente, attraverso la corrispondenza e i segni di un veloce ancorché significativo passaggio impressi sulle pagine, tra le pieghe d’una scrittura che si presta ora alla filosofia ora alla poesia, dietro la veemenza simbolica delle parole, assiduamente disadatte – innanzi all’occhio di chi sa davvero scrutarle – a mantenere segreti.

Ciò che tuttavia rende ancora più prezioso “Ai confini del mondo. Nietzsche a Messina nel 1882” di Marcello Mento (Edas, 2023) è la seducente ricognizione sulla città ove un tempo convivevano bellezza e sottosviluppo, ove il richiamo dei commerci da una parte e una non meno invitante vivacità culturale dall’altra convogliavano un gran numero di stranieri.

Sono undici i capitoli che compongono l’affresco di Mento e accolgono così tante informazioni, così avvincenti aneddoti, così sintomatici elementi descrittivi d’un tempo e d’una terra senza eguali da trasformare il soggiorno del filosofo in un ingegnoso pretesto per raccontare Messina.

Con l’effervescenza e il piglio vincente del cronista l’autore accende i riflettori sui luoghi, corroborati da un sostanzioso apparato iconografico, e sulla gente che allora li abitava. Sono oltremodo utili a tal fine le testimonianze dei tanti visitatori che sulla carta vi impressero le plausibili suggestioni. Ci si addentra così, insieme a Nietzsche e nei giorni di grazia primaverile, sulle rive dello Stretto su cui soffiava quel vento di scirocco che poi scoraggiò il filosofo dal proposito d’una permanenza più lunga.

Il lettore passeggia al suo fianco e ritrova la villetta Mazzini dai fiori scelti e profusi con gusto d’intreccio, l’antica chiesa dei Catalani, la statua del Nettuno sul corso Vittorio Emanuele; respira l’atmosfera della Settimana Santa di cui fornisce importante testimonianza il console August Scheegans; compie il tradizionale “giro dei Sepolcri” e assiste alla processione delle “Barette”, con i Babbaluci, i bandisti, i preti, le orfanelle; rivive la vivacità della cittadina nel quartiere Portalegni in occasione della “Festa degli Spampanati”; tocca con mano la miseria nell’operosità dei monelli davanti alle chiese, per strada, al porto, che tentavano di raggranellare qualche spicciolo.

Poi è la volta di Castel Gonzaga, poi ancora del Gran Camposanto, del tragitto che oggi è la nostra litoranea e che mai mancò di ispirare poeti e scrittori. A Vincenzo Consolo – si apprende dalle pagine di Mento – lì sembrò addirittura di distaccarsi dal reale vero e di sognare, di riscoprire la verità del mondo. E un simile scopo, intimamente legato alla storia e al mito, pare possa essere stato quello di Nietzsche nell’atto di intraprendere il suo viaggio, faticoso alquanto, per raggiungere quei confini del mondo che danno opportunamente il titolo a quest’opera.

Marcello Mento valuta le possibili ragioni del viaggio e si astiene dal dispensare verità assolute. Le sue sono piuttosto ipotesi cui si giunge riannodando i fili d’una porzione di esistenza. Lo stesso metodo si applica per ricostruire l’arrivo del filosofo a Messina e il soggiorno di ventuno giorni, a partire dall’albergo in cui presumibilmente dimorò e che, come si evince da una cartolina postale, si affacciava su una quieta piazza del Duomo.

Conferiscono maggiore compiutezza allo scenario i luoghi poco distanti. Allora ci si approssima ai vulcani della Sicilia, in quel territorio compreso tra le Eolie e l’Etna che tracima miti, leggende, magia. Ci si spinge fino a Taormina, tappa obbligata per i viaggiatori. E, se non sono precisamente gli occhi di Nietzsche, Mento è abile a restituircene l’incanto attraverso quelli di Maupassant, di Goethe, di Carl von Gersdoff.

Terminato l’avvicendamento dei luoghi, il capitolo IX costituisce invece, a mo’ di fermo immagine, uno strano scenario. Come tutte quelle circostanze che il caso compone e che a posteriori si adornano di incredibilità. Un’amicizia interrotta che poteva rinnovarsi proprio a Messina, se Nietzsche e Wagner, a un passo l’uno dall’altro, si fossero incontrati. Due grandi uomini a percorrere le stesse strade, a sentire gli stessi odori.

E quegli odori, quelle strade lastricate di vite, e di incontri mancati, si ritemprano oggi attraverso la memoria che abbiamo il dovere di serbare, investigare, proteggere. Sono le orme, del resto, a restituirci il nostro passato, la nostra identità. A ridestare quell’amore per la nostra città che Marcello Mento una volta di più ha inteso affermare.

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